L’Italia è, storicamente, il paese che meno impara dagli errori. Ma, in questo momento, in materia di gioco pubblico, il nostro paese e l’industria dei giochi dovrebbe trarre spunto dalle esperienze e dagli esempi che giungono dall'estero. Sarebbe un ottimo input da cui prendere spunto per il Governo centrale.
Pur rimanendo uno dei mercati internazionali più proficui e sviluppati nel mondo, l’Italia deve scontrarsi con una realtà di scontri, proibizionismi e divieti, animati dai tanti movimenti di protesta. L’Esecutivo dovrebbe prendere provvedimenti, anche alla luce del parere formulato dall'Autorità Garante delle Comunicazioni sull'Applicazione del divieto totale di pubblicità dei giochi, come predisposto dal Decreto Dignità, rispetto al quale ha appena rilasciato le Linee Guida che ne determinano limiti e ambiti di applicazione. Sei mesi di lavoro e una lunga consultazione hanno consentito ad AGCOM di interpretare le disposizioni governative, più simili ad un diktat che ad una regolamentazione, basate sui principi fondamentali di un paese, come il nostro, democratico e inserito nel contesto dell’Unione Europea.
La valutazione ha riguardato non solo la coerenza rispetto alle leggi statali già in vigore sul tema del gioco pubblico, ma anche quelle comunitarie e libera concorrenza. Un netto ridimensionamento di quello che veniva annunciato come un provvedimento di abolizione di pubblicità, ridotto ad una mera riduzione degli spazi e delle possibilità di promozione dei giochi con vincita in denaro. Lontano, dunque, il divieto totale, quando consente di distinguere tipologie di offerta, come quella legale o illegale, e soprattutto quando consente una chiara comprensione agli utenti. Non solo per i funzionamenti di un prodotto che si sceglie di consumare ma anche, e soprattutto, circa i rischi che si corrono. Aspetto, questo, fondamentale per importanza e forse sottovalutato col principale divieto di pubblicità e comunicazione nella forma che il governo aveva previsto. Inattuabile, su certi versanti.
Ma dagli errori, alla pari dello Stato, dovrebbe apprendere anche la stessa industria del gioco, che si è esposta volutamente alle proteste e ai movimenti di contrasto anche per la sovraesposizione mediatica dell’offerta nel nostro paese, caratterizzata prevalentemente da reclame negli stadi, in televisione di scommesse e casinò online legati tutti a principali eventi sportivi. Il bombardamento conseguente è stato generato in prima istanza da quel che si è chiarito più sopra. Anche i giocatori, in tanti contesti, si sono stancati dei messaggi pubblicitari, di qualità discutibile, se non scadente. Certamente, una limitazione spontanea e preventiva delle stesse società di gioco avrebbe forse evitato la deriva fortemente proibizionista raggiunta dal governo e l’imposizione di quel diktat, assurdo e inverosimile, ma prodotto di un malcontento, tanto ideologico quanto strumentale ma esistente e da considerare.
Sarebbe quasi ora, tra le altre cose, per gli operatori del gioco pubblico italiano, di cominciare a guardare oltre i propri confini per garantirsi una situazione diversa da quella attuale e, per l’appunto, seguire esempi in molti casi virtuosi. Sotto tutti i punti di vista e senza allontanarsi molto. Basti pensare al caso del Regno Unito, in piena crisi Brexit, dove si continuano ad attuare politiche di regolamentazione sul mercato di gioco, in un contesto finanche più evoluto di quello italiano. Il Governo inglese, come in Italia, ha dovuto cedere terreno di fronte a pressioni sempre più crescenti da parte dell’opinione pubblica e dei movimenti di protesta, intervenendo per esempio sul limite di puntata delle FOBT, le nostre VLT, ma comportandosi in maniera diametralmente opposta per quel che riguarda la pubblicità, come anche sui limiti da apporre all'industria, in maniera più ampia e completa. Sono state avviate, per esempio, consultazioni preventive con la Gambling Commission, non successive alla legge come ha dovuto fare AGCOM.
Ma in Gran Bretagna, a differenza dell’Italia, il regolatore del comparto è un ente autorevole che esercita appieno i propri poteri, ma l’industria gode di una stima diversa, considerata di tale importanza per l’economia del paese, produttiva ed efficace, da risultare imprescindibile. Ma è la stessa industria a comportarsi davvero “da industria”, preoccupandosi seriamente dei propri profili di responsabilità sociale e degli impatti della sua attività sulla comunità, ma anche guardando al futuro. Ci si prova a garantire una piena sostenibilità: così alcuni bookmaker e media hanno rinunciato agli spazi pubblicitari, per lanciare un segnale, tutelando i propri interessi, che sarebbero troppo messi a rischio facendo una guerra sulla pubblicità.
Il Regno Unito, così, rappresenta un esempio per tutto il mondo in tema di gioco, mentre l’industria del nostro paese deve raccogliere un po’ i frammenti di tutto quel che sta andando in frantumi, provando ad ipotizzare, nell'immaginazione, un futuro quantomai incerto. Auspicandosi magari una ripresa coerente dell’Esecutivo, che possa guardare ad esempi virtuosi e cominciare il riordino del settore, superando i tanti scogli, su tutti la questione territoriale, ben più influenti della lotta sulla pubblicità.